I franchi tiratori, dimostrarono che la città di Pavolini, il capoluogo di quel Granducato di Toscana, come sarebbe stata definita la RSI per la grande partecipazione che la regione di Dante diede alla Repubblica non sarebbe caduta senza colpo ferire. Centinaia di fiorentini di ambo i sessi e di tutte le età spararono dalle finestre, dai tetti, dagli angoli delle strade, inchiodando al suolo il nemico e le bande partigiane al suo seguito. Non avevano alcuna speranza di sopravvivenza perché, una volta presi, sarebbero stati fucilati. Gli ultimi soldati ad abbandonare il capoluogo toscano provarono a convincere i franchi tiratori più vicini a mettersi in salvo con loro. “La consegna – risposero – è quella di morire sul posto”. E così fecero.

martedì

La città italiana che preferisco? Firenze.
 Perché lì gli Italiani ci hanno accolto sparandoci addosso."
( Gen. H. Alexander)

Subito dopo l’ 8 Settembre a Firenze i fascisti costituirono la prima Squadra d’azione cittadina e riaprirono la Federazione “...furono i primi otto uomini delle squadre, veterani di tute le battaglie della Patria a formare il primo nucleo del battaglione volontari...si fecero notare per la prima volta la sera del 13 settembre, quando saputo ...che Mussolini era stato liberato...essi vollero annunciarlo per primi ai fiorentini, percorrendo la città su di una autocarro con altoparlante” Un particolare “campanilistico” e curioso: a formare questo primo Battaglione volontari (che si chiamerà “Ettore Muti”) saranno in buona parte: “..ragazzi di Bari che, fuggiti davanti all’avanzata inglese, hanno preferito abbandonare le loro famiglie anziché subire l’onta di servire il nemico sotto le sue odiate bandiere”

FIRENZE LA SEDE DEL PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO
 IN VIA DEI SERVI

Nel settembre 1943  non solo a Firenze i franchi tiratori Fascisti opposero una strenua resistenza alle forze angloamericane e a quelle partigiane.
Ricordiamo Napoli, Firenze, Forlì, Ravenna ,Torino, Reggio Emilia, Parma, Piacenza , Milano e Genova. Tra  i franchi tiratori fascisti si schierarono anche numerose  donne.

La meno nota " resistenza fascista " del Sud

Dal 28 settembre a Napoli ci furono dei franchi tiratori che si opposero all’invasione, ingaggiando vere e proprie battaglie. Molti di loro furono catturati e subito uccisi, altri dopo una strenua resistenza, si uccisero. Altri riuscirono a ritirarsi a nord e si arruolarono nelle Forze Armate della R.S.I..  Ci furono scontri al Museo, a Porta Capuana, a Piazza Mazzini, nelle vie del centro e anche in periferia; In via Toledo dalla terrazza della Rinascente un Fascista Isolato sparò con una mitragliatrice, accerchiato quando stava per essere preso, si precipitò con l'arma da una finestra. In via Duomo un Capitano della Milizia si asserragliò e combatté strenuamente; quando gli insorti lo raggiunsero, si uccise. In Piazza Marinelli un Fascista sparò e tirò bombe, ma venne preso e fucilato. In Piazza Mazzini quattro giovanissimi tiratori fascisti, armati solo di moschetto e presi di mira dai partigiani, rifiutarono di salire su un camion tedeschi in ritirata affermando di voler opporre l'ultima resistenza, (vennero ricordati come i " Kamikaze in Camicia Nera "),di loro non si seppe più nulla! La caccia al fascista da parte dei partigiani si protrasse ferocemente fino all'arrivo degli anglo-americani ed anche oltre.

A  Parma il 26 aprile del ’45 : qui, a sparare contro i “liberatori” non sono né i franchi tiratori italiani, né i cecchini tedeschi, ma combattenti francesi, con le proprie famiglie. Sono i militi della Brigata Nera “Nizza”, composta da francesi ed accasermata in una scuola della strada al ponte Capraruzza. È certamente l’ultima raffica in Italia del patriottismo francese contro gli anglo-americani”

(in: Luca Tadolini, “I franchi tiratori di Mussolini”, All’insegna del Veltro 1998)

la cartina che indica le postazioni di “franchi tiratori”.
LO SCHIERAMENTO DEI FRANCHI TIRATORI NELLE COSI’ DETTA IV ZONA IN UNA CARTINA DEL COMANDO MILITARE TOSCANO (I.S.R.T, FONDO C.V.L.-C.M.T., BUSTA 5, FASC. 516, ALLEGATO ALLA RELAZIONE CIT.). LE POSIZIONI SEGNALATE CON NUMERO SONO INDICATE NELLA “LEGGENDA” DELLA CARTA COME “ZONE DI APPOSTAMENTO DEI FRANCHI TIRATORI”. 1) INCROCIO VIA DON MINZONI-VIA LUCA GIORDANO; 2) INCROCIO VIA DON MINZONIU -VIA PASCOLI; 3) PIAZZA CAVOUR- PORTA S. GALLO; 4) INCROCIO VIA S. BARTOLOMEO-VIS MASAGGIO; 5) INCROCIO VIA S. BARTOLOMEO-VIA LUCA GOLDONI; 6) INCROCIO VIA VIA MASAGGIO-VIA BOTTOCELLI; 7) ANGOLO PIAZZA ANAROLA-VIA PICO DELLA MIRANDOL; 8) VIA LAMARMORA, 9)INCROCIO VIA G. LA FARINA-VIA MASAGGIO; 10) INCROCIO VIA VECCHI-VIA MASAGGIO

A Firenze, contro i franchi tiratori....si tirava a cannonate
(foto da Storia & Battaglie nr. 94, settembre 2009)

I Giovanissimi Franchi Tiratori di Firenze, 
così fu giudicato il loro operato dal Gen. H. Alexander
I franchi tiratori, dimostrarono che la città di Pavolini, il capoluogo di quel Granducato di Toscana, come sarebbe stata definita la R.S.I. per la grande partecipazione che la regione di Dante diede alla Repubblica non sarebbe caduta senza colpo ferire. Centinaia di fiorentini di ambo i sessi e di tutte le età spararono dalle finestre, dai tetti, dagli angoli delle strade, inchiodando al suolo il nemico e le bande partigiane al suo seguito. Non avevano alcuna speranza di sopravvivenza perché, una volta presi, sarebbero stati fucilati. Gli ultimi soldati ad abbandonare il capoluogo toscano provarono a convincere i franchi tiratori più vicini a mettersi in salvo con loro. “La consegna – risposero – è quella di morire sul posto”. E così fecero.


TRECENTO FRANCHI TIRATORI FASCISTI, ARROCCATI SU QUATTRO SUCCESSIVE LINEE DIFENSIVE, BLOCCANO L' AVANZATA NEMICA SU FIRENZE E RITARDANO DI DUE SETTIMANE LA TOTALE OCCUPAZIONE DEL CAPOLUOGO TOSCANO RESTANDO QUASI TUTTI UCCISI

L'11 agosto 1944 Firenze venne occupata dall'invasore angloamericano perché era stata sguarnita dai nostri soldati che si stavano attestando su di una linea di fronte più a settentrione. Ma vi si resistette con caparbietà, con audacia e con onore. I franchi tiratori, immortalati anche grazie a La pelle di Curzio Malaparte, dimostrarono che la città di Pavolini, il capoluogo di quel Granducato di Toscana, come sarebbe stata definita la RSI per la grande partecipazione che la regione di Dante diede alla Repubblica, non sarebbe caduta senza colpo ferire. Centinaia di fiorentini di ambo i sessi e di tutte le età spararono dalle finestre, dai tetti, dagli angoli delle strade, inchiodando al suolo il nemico e le bande partigiane al suo seguito. Non avevano alcuna speranza di sopravvivenza perché, una volta presi, sarebbero stati fucilati. Gli ultimi soldati ad abbandonare il capoluogo toscano provarono a convincere i franchi tiratori più vicini a mettersi in salvo con loro. “La consegna – risposero – è quella di morire sul posto”. E così fecero. 
Apprendiamo con gioia che i camerati fiorentini hanno reso onore a questi eroi e che oggi stesso saranno deposti fiori sulle loro tombe. 

I figli e i nipoti della vergogna sono invece insorti perché non vorrebbero affatto che quel fulgido esempio venisse ricordato: la grandezza è mal sopportata, e con astio, dai piccoli e dai mediocri. 
Il generale Alexander già a suo tempo aveva risposto in modo più che esauriente a questi infelici. “La città italiana che preferisco? Firenze. Perché lì gli italiani ci hanno accolti sparandoci addosso”. 



TIRATORI, NON SOLO “FRANCHI”
Tra i franchi tiratori che, nelle città del Nord abbandonate da Tedeschi e fascisti, continuano la battaglia per ostacolare l’ingresso di Alleati e partigiani, vi sonoaanche parecchie donne….la Reuter parlerà di 25 ragazze catturate nella sola Firenze, a Milano, in via Gibson del Maino viene giustiziato un commando formato da tre donne, che hanno fatto parecchi danni alle avanguardie scese dalle montagne, casi isolati si hanno a Parma, Piacenza, Torino e altrove
Uno degli episodi più singolari è quello registrato a Firenze:
“Sempre in borgo degli Albizi, all’ultimo piano di uno stabile, a sparare come franco tiratore è una donna. I partigiani non riescono ad individuarla: quando perquisiscono l’edificio, la donna ripone il fucile su una trave del soffitto, prende in braccio il suo bambino e apre la porta del misero locale ai militi avversari. Così per tre volte, finchè un partigiano non rimane nascosto dentro la casa , scoprendo che i colpi partono dai locali della donna
Catturata, verrà fucilata in strada, poco lontano”

(Testimonianza in: Luca Tadolini, “I franchi tiratori di Mussolini”, All’insegna del Veltro 1998)

Giovani che si opposero dai tetti della città all’avanzata delle truppe Alleate e che avevano aderito alla RSI solo per una questione ideale e per salvaguardare l’onore dell’Italia già gravemente macchiato dall’onta dell’8 settembre 1943. Una scelta disinteressata, spesso presa nella consapevolezza che avrebbe significato morte certa, a guerra ormai irrimediabilmente compromessa. Una scelta coraggiosa che dall’altra parte della Linea Gotica avevano fatto soltanto quegli antifascisti della prim’ora, che avevano scelto di opporsi al Regime Fascista nel momento di suo massimo splendore ed ai quali si aggiunse poi un’ondata di antifascisti dell’ultim’ora a cose ormai fatte, composta per lo più da persone che, magari, fino al 24 luglio 1943 salutavano festanti ed a braccia tese nel 
corso delle adunate fasciste. I giovani fascisti giustiziati davanti alla Chiesa
di Santa Maria Novella ebbero il compito di bloccare le truppe anglosassoni alle porte della città lasciando il tempo ai reparti della RSI e dell’esercito tedesco di assestarsi sulle colline a nord di Firenze. Un compito ingrato perché era chiaro che nessuno di loro avrebbe avuto via di fuga. Un sacrificio che se non fosse stato per Curzio Malaparte sarebbe totalmente passato inosservato e che, comunque, è caduto per decenni nell’oblio che la storia riserva ai vinti. Al di là delle questioni ideologiche e di parte abbiamo ritenuto che sia un dovere mantenere la memoria di persone capaci di sacrificare la propria vita per un ideale che ritenevano giusto e per l’onore della propria Nazione.


I FORI DEI PROIETTILI SULLA CHIESA DI SANTA MARIA NOVELLA
LUOGO DELLA FUCILAZIONE


FUNERALE DI DUILIO SELENI COMANDANTE DEL BATTAGLIONE
 "ETTORE MUTI" UCCISO IN UNO SCONTRO CON I PARTIGIANI
 A VALIBONA (PRATO) NEL GENNAIO 1944


DAL LIBRO “AVANGUARDIA DI MORTE…” RACCONTI BRIGATISTI
  DI GIACINTO REALE

"Federico sapeva che ormai era finita: di nove che erano all’inizio di quell’ultima avventura, divisi in tre gruppi di tre, ognuno assegnato ad uno spicchio di territorio, lì, a ridosso di Palazzo Pitti, erano rimasti solo lui e i due universitari del MGIR che componevano la sua squadra. Loro ora dormivano sul pavimento, dopo una notte passata a sorvegliare la strada, e a lui toccava stare di guardia. Insieme, avrebbero diviso lo stesso destino: la morte quasi sicura, chè per i “franchi tiratori”  non sarebbero valse le leggi di guerra. Partigiani e Anglo-Americani li avrebbero uccisi senza pietà, sempre che fossero riusciti a prenderli vivi. Dalle soffitte dell’antica residenza dei Duchi di Toscana, dove ormai viveva da due giorni, dopo averne passati altri tre a spostarsi per tetti e terrazze, aveva assistito, poco   prima,  ad una scena  sconvolgente, che aveva posto fine  ad uno scontro a fuoco protrattosi per ore. Precisi colpi di fucileria, provenienti da una finestra all’ultimo piano  di un palazzetto, avevano bloccato per quasi mezza giornata una colonna americana, circondata da un nugolo di straccioni male armati, di quelli che si facevano chiamare “partigiani”. Da giù tiravano a mitraglia e con colpi isolati di fucile, da sopra rispondevano di rado, ma precisamente: e ogni volta  c’era qualcuno che cadeva giù, morto, o forse più spesso ferito, come dimostrava il gran andirivieni dei Fratelli della Misericordia con carretti e grandi bandiere bianche con croci rosse disegnate sopra. Tutto questo finchè non era arrivato un carro armato, che aveva centrato la facciata con due colpi, facendo dei grossi buchi nel muro, mentre una quindicina di soldati e civili, approfittando del provvidenziale intervento,  si precipitavano all’interno, contando sul fatto che dall’alto non si sparava. Era stato allora che Federico ed i suoi compagni avevano visto affacciarsi alla finestra dalla quale partivano i colpi, un ragazzo ed una ragazza, giovani, della sua età più o meno, in camicia nera come lui. S’era fatto silenzio. Niente  fucilate, niente grida di richiamo o ordini, silenzio assoluto. I due, disarmati, erano saliti sul davanzale tenendosi per mano, così che il ragazzo aveva potuto delicatamente  aiutare la sua compagna, avevano guardato di sotto, per poi gridare, all’unisono, con quanta forza avevano in corpo: “Viva l’Italia fascista ! Viva il Duce !”. Ed erano  volati giù, come due angeli. Quando furono sul selciato, una macchia di sangue si  allargò per terra: due civili armati si fecero dappresso, li   guardarono per qualche secondo, senza inginocchiarsi, finchè uno si   voltò rivolgendo un cenno ai compagni, come a dire: “E’ finita, sono morti !”

L' ARRESTO PRIMA DELLA FUCILAZIONE

Tra i franchi tiratori che, nelle città del Nord abbandonate da Tedeschi e fascisti, continuano la battaglia per ostacolare l’ingresso di Alleati e partigiani, vi sono anche parecchie donne….la Reuter parlerà di 25 ragazze catturate nella sola Firenze, a Milano, in via Gibson del Maino viene giustiziato un commando formato da tre donne, che hanno fatto parecchi danni alle avanguardie scese dalle montagne, casi isolati si hanno a Parma, Piacenza, Torino e altrove .Uno degli episodi più singolari è quello registrato a Firenze: “Sempre in borgo degli Albizi, all’ultimo piano di uno stabile, a sparare come franco tiratore è una donna. I partigiani non riescono ad individuarla: quando perquisiscono l’edificio, la donna ripone il fucile su una trave del soffitto, prende in braccio   il suo bambino e apre la porta del misero locale ai militi avversari. Così per tre volte, finchè un partigiano non rimane nascosto dentro la casa , scoprendo che i colpi partono dai locali della donna Catturata, verrà fucilata in strada, poco lontano”

(Testimonianza in: Luca Tadolini, “I franchi tiratori di Mussolini”, All’insegna del Veltro 1998)


SFREGI PARTIGIANI
“siamo i leoni di Mussolini”
Queste le parole che, per sfregio, venivano scritte sui cartelli messi 
al collo dei cadaveri di molti franchi tiratori fiorentini

CADAVERI DI ALCUNI FRANCHI TIRATORI FUCILATI 
SUL SAGRATO DI SANTA MARIA NOVELLA

I FUCILATI DI FIRENZE (da LA PELLE di Curzio Malaparte) 


I ragazzi seduti sui gradini di S. Maria Novella, la piccola folla di curiosi raccolta intorno all’obelisco, l’ufficiale partigiano a cavalcioni dello sgabello ai piedi della scalinata della chiesa, coi gomiti appoggiati sul tavolino di ferro preso a qualche caffè della piazza, la squadra di giovani partigiani della divisione comunista “ Potente “, armati di mitra e allineati sul sagrato davanti ai cadaveri distesi alla rinfusa l’uno sull’altro, parevano dipinti da Masaccio nell’intonaco dell’aria grigia. Illuminati a picco dalla luce di gesso sporco che cadeva dal cielo nuvoloso, tutti tacevano, immoti, il viso rivolto tutti dalla stessa parte. Un filo di sangue colava giù per gli scalini di marmo. 
I fascisti seduti sulla gradinata della chiesa erano ragazzi di quindici o sedici anni, dai capelli liberi sulla fronte alta, gli occhi neri e vivi nel lungo volto pallido. Il più giovane, vestito di una maglia nera e di un paio di calzoni corti, che gli lasciavano nude le gambe dagli stinchi magri, era quasi un bambino. C’era anche una ragazza fra loro: giovanissima, nera d’occhi, e dai capelli, sciolti sulle spalle, di quel biondo scuro che s’incontra spesso in Toscana fra le donne del popolo, sedeva col viso riverso, mirando le nuvole d’estate sui tetti di Firenze lustri di pioggia, quel cielo pesante e gessoso, e qua e là screpolato, simile ai cieli del Masaccio negli affreschi del Carmine.  Quando avemmo udito gli spari, eravamo a metà via della Scala, presso gli Orti Oricellari. Sboccati sulla piazza, eravamo andati a fermarci ai piedi della gradinata di Santa Maria Novella, alle spalle dell’ufficiale partigiano seduto davanti al tavolino di ferro.  Al cigolio dei freni delle due jeep, l’ufficiale non si mosse, non si voltò. Ma dopo un istante tese il dito verso uno di quei ragazzi, e disse: 
- Tocca a te. Come ti chiami? 
- Oggi tocca a me - disse il ragazzo alzandosi - ma un giorno o l'altro toccherà a lei. 
- Come ti chiami ? 
- Mi chiamo come mi pare... 
- O che gli rispondi a fare a quel muso di bischero, gli disse un suo compagno seduto accanto a lui. 
- Gli rispondo per insegnargli l'educazione, a quel coso - rispose il ragazzo, asciugandosi col dorso della mano la fronte madida di sudore. Era pallido, e gli tremavano le labbra. Ma rideva, con aria spavalda guardando fisso l'ufficiale partigiano. 
A un tratto i ragazzi presero a parlar fra loro ridendo. 
Parlavano con l'accento popolano di San Frediano, di Santa Croce, di Palazzolo. 
L’ufficiale partigiano alzò la testa e disse: 
- Fa presto. Non mi far perdere tempo. Tocca a te. 
- Se gli è per non farle perdere tempo - disse il ragazzo con voce di scherno - mi sbrigo subito - 
E scavalcati i compagni andò a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra, accanto al mucchio di cadaveri, proprio in mezzo alla pozza di sangue che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato. 
- Bada di non sporcarti le scarpe ! - gli gridò uno dei suoi compagni, e tutti si misero a ridere. 
- Jack e io saltammo giù dalla jeep. 
- Stop! - urlò Jack. 
Ma in quell’istante il ragazzo gridò: - Viva Mussolini ! - e cadde crivellato di colpi .

dal libro di Giacinto Reale: “Avanguardia di morte....Racconti brigatisti”
“Federico sapeva che ormai era finita: di nove che erano all’inizio di quell’ultima avventura, divisi in tre gruppi di tre, ognuno assegnato ad uno spicchio di territorio, lì, a ridosso di Palazzo Pitti, erano rimasti solo lui e i due universitari del MGIR che componevano la sua squadra. Loro ora dormivano sul pavimento, dopo una notte passata a sorvegliare la strada, e a lui toccava stare di guardia. Insieme, avrebbero diviso lo stesso destino: la morte quasi sicura, chè per i “franchi tiratori” non sarebbero valse le leggi di guerra. Partigiani e Anglo-Americani li avrebbero uccisi senza pietà, sempre che fossero riusciti a prenderli vivi. Dalle soffitte dell’antica residenza dei Duchi di Toscana, dove ormai viveva da due giorni, dopo averne passati altri tre a spostarsi per tetti e terrazze, aveva assistito, poco prima, ad una scena sconvolgente, che aveva posto fine ad uno scontro a fuoco protrattosi per ore. Precisi colpi di fucileria, provenienti da una finestra all’ultimo piano di un palazzetto, avevano bloccato per quasi mezza giornata una colonna americana, circondata da un nugolo di straccioni male armati, di quelli che si facevano chiamare “partigiani”. Da giù tiravano a mitraglia e con colpi isolati di fucile, da sopra rispondevano di rado, ma precisamente: e ogni volta c’era qualcuno che cadeva giù, morto, o forse più spesso ferito, come dimostrava il gran andirivieni dei Fratelli della Misericordia con carretti e grandi bandiere bianche con croci rosse disegnate sopra. Tutto questo finchè non era arrivato un carro armato, che aveva centrato la facciata con due colpi, facendo dei grossi buchi nel muro, mentre una quindicina di soldati e civili, approfittando del provvidenziale intervento, si precipitavano all’interno, contando sul fatto che dall’alto non si sparava. Era stato allora che Federico ed i suoi compagni avevano visto affacciarsi alla finestra dalla quale partivano i colpi, un ragazzo ed una ragazza, giovani, della sua età più o meno, in camicia nera come lui. S’era fatto silenzio. Niente fucilate, niente grida di richiamo o ordini, silenzio assoluto. I due, disarmati, erano saliti sul davanzale tenendosi per mano, così che il ragazzo aveva potuto delicatamente aiutare la sua compagna, avevano guardato di sotto, per poi gridare, all’unisono, con quanta forza avevano in corpo: “Viva l’Italia fascista ! Viva il Duce !”. Ed erano volati giù, come due angeli. Quando furono sul selciato, una macchia di sangue si allargò per terra: due civili armati si fecero dappresso, li guardarono per qualche secondo, senza inginocchiarsi, finchè uno si voltò rivolgendo un cenno ai compagni, come a dire: “E’ finita, sono morti !” Fu solo allora che gli altri si mossero, mentre dalle finestre dell’appartamento si affacciavano quelli che erano saliti su per le scale, e che, evidentemente, erano riusciti a sfondare la porta d’ingresso. La scena era stata straziante, ed aveva posto alla mente di Federico, per l’ennesima vota, una domanda che da cinque giorni ormai ritornava: “Lui cosa avrebbe fatto in quella stessa situazione?” Inutile farsi illusioni. Anche se avevano ancora un po’ di viveri e munizioni, con abiti borghesi per quella estrema via di scampo che era stata autorizzata quando non ci fosse stato più nulla da fare, sapeva già come sarebbero andate le cose. Uno dei due suoi camerati, la sera prima, sgaiattolando da un’uscita secondaria, si era avventurato nelle vie adiacenti, in borghese e disarmato, per vedere che aria c’era, ed eventualmente prendere qualcosa da mangiare. Al ritorno aveva portato pessime notizie: le strade erano pattugliate da uomini con fazzoletti rossi al collo, che imbracciavano mitra, fermavano tutti, chiedevano documenti, facevano domande, soprattutto quando si insospettivano per qualche faccia non conosciuta da quelle parti. Via dei Serragli e piazza di Santo Spirito, dove, sul tetto di uno stabile bombardato e sul campanile di una chiesa, avrebbero dovuto esserci altri due gruppi di tiratori, erano silenziose e deserte: la spiegazione più probabile era che la fucileria fascista fosse terminata. Lui era riuscito a farla franca per un soffio, nascondendosi tra le macerie o nei portoni trovati aperti, ma aveva capito che tentare di ripetere l’operazione avrebbe significato, quasi certamente, la morte. Non restava quindi che aspettare, cercare di fare quanto più danno possibile a quei vigliacchi che sbucavano dalle fogne come ratti schifosi, e sperare nell’imprevedibile. Dopo la morte dei due ragazzi, quello strano silenzio continuava: il carro armato era andato via, seguito dalla gran parte delle camionette con bandierina americana, e anche i civili armati erano spariti. Dai portoni fino allora chiusi aveva cominciato ad uscire gente, qualcuno si era affacciato alle finestre non più serrate dalle persiane, mentre due anziane, vestite di nero e con dei grossi fiaschi, si erano avvicinate alla fontanella all’angolo della piazza. Nell’indifferenza generale, un carretto aveva portato via i due corpi, e solo la grossa macchia scura del sangue sull’asfalto era rimasta a testimoniare l’accaduto”.




L’ UCCISIONE DEL  MARESCIALLO LUIGI GALLERANI
“Conviene a questo punto ricordare l’allucinate (ma significativa) disavventura del maresciallo Luigi Gallerani che proprio l’11 agosto (del 1944, è il giorno convenzionalmente indicato come quello della “liberazione” di Firenze), al seguito delle truppe alleate, rientra a Firenze, e raggiunge casa sua in Borgognissanti, strada ben presidiata dai franchi tiratori; si affaccia alla finestra, forse per rendersi conto della situazione, e viene notato da un picchetto di partigiani a caccia di “cecchini”, che lo invitano a scendere in strada. Appena fuori dal portone, un gruppetto di persone inferocite assale il malcapitato e, senza ascoltare le sue rimostranze, lo trascina di peso nella vicina via Orti Oricellari. Qui vien prelevato da altri “patrioti”, che lo mettono immediatamente al muro, e lo uccidono con una raffica di mitra.
Il figlio, partigiano, e la vedova, dopo qualche giorno pretendono che venga aperta un’inchiesta….. (che rimarrà senza esito ndr)
(Gigi Salvagnini, L’ultima guerra civile, Firenze e la RSI, Bagno a Ripoli 2004)


LE RAGAZZE E LE BOMBE A MANO….
“Sono gli ultimi giorni del mese di giugno 1944. Un giovane fiorentino, appartenente all’Opera Balilla, dopo essere stato presso dei parenti in via Arnolfo, attraversa l’Arno al Ponte S Nicolò, con l’intenzione di fare una passeggiata Quando si trova nella zona retrostante il Lungarno Francesco Ferrucci, un milite gli sbarra la strada. Il giovane presenta i suoi documenti di balilla e riesca a proseguire. Dopo pochi passi, assiste ad una scena inconsueta: una ventina di ragazze, al massimo ventenni, con i capelli tagliati corti, come nessuna ragazza porta in quei giorni. vestite in camicia nera, senza distintivi e in pantaloni militari al posto della gonna che rimane d’obbligo pe tutte le donne, anche inquadrate in Reparti militari Queste strane ragazze si stanno esercitando a tirare bombe a mano Balilla, le tirano due alla volta. Il ragazzo osserva l’inconsueto spettacolo per qualche minuto, poi torna sui suoi passi e si avvia a casa. Tornerà anche il giorno seguente, e la scena si ripeterà: le ragazze coi capelli corti sono sempre allo stesso posto a esercitarsi con le bombe a mano Sembra proprio che si preparino a combattere”
(Luca Tadolini, “I franchi tiratori di Mussolini”, All’insegna del Veltro 1998)
Il ragazzo è Stelvio Dal Piaz; le giovani che si esercitano sono il primo nucleo delle volontarie che resteranno a Firenze a combattere, dopo la partenza dei tedeschi


“…come membro dell’Ufficio Politico…ero incaricato di interrogare i numerosi cittadini che giungevano, in stato di fermo, nel cortile del Distretto Militare…..Tra i fermati furono individuati alcuni elementi che sicuramente appartenevano al gruppo dei franchi tiratori fascisti…si trattava, per la maggior parte, di cittadini di S Frediano…I partigiani di guardia avevano notato una bella ragazzina bionda in mezzo ai fermati, e mi avevano chiesto, dato che mi avevano visto parlare con lei, chi era e perché in quel gruppo di sospetti. Avevo risposto la verità. I partigiani che effettuavano il rastrellamento avevano prelevato, dietro indicazione della popolazione, il babbo di quella figliola. La moglie e la figlia avevano voluto a ogni costo seguirlo, e pertanto anche le due donne erano lì. Arrivarono, ad un certo punto, anche alcuni partigiani delle Squadre d’Azione; con loro vi era un “partigiano” che chiese di parlare col padre della ragazzina, voleva informazioni su suo fratello. Autorizzai il colloquio, ma mentre il fermato si avviava verso un cortile adiacente, fui richiamato dalle grida di una donna….era stata la moglie del fascista: “Lo salvi, lo salvi, pe carità, quello me lo ammazza” Risposi con indignazione che i partigiani non ammazzano nessuno e che non aveva niente da temere. Ma, insospettito, mi avviai verso il cortile nel quale si era fermato il gruppetto. Feci appena in tempo ad avvicinarmi, e prima che potessi aprire bocca, il “partigiano” fece partire, dal suo fucile, un colpo che prese in pieno ventre il nostro prigioniero, uccidendolo…quel fascista era il suocero del “partigiano” che aveva sparato, e l’esecuzione non era stato altro che l’ultimo atto di una oscura vicenda di odi familiari

(è la testimonianza del capo partigiano Ugo Cappelletti, riportata in: Luca Tadolini, “I franchi tiratori di Mussolini”, All’Insegna del Veltro 1998)



11 Agosto 1944, data della liberazione di Firenze. Gli inglesi ed i partigiani del C.T.L.N. entrano vittoriosi nel capoluogo toscano dopo un mese di combattimenti. Combattimenti che Churchill ed i tedeschi avrebbero volentieri evitato, ma che invece vollero ad ogni costo i partigiani. Ma durante la “battaglia di Firenze” emerse un nuovo originale fenomeno, quello dei cosiddetti “franchi tiratori”, per molti organizzati da Alessandro Pavolini in persona, per altri autentico “fenomeno” popolare voluto da quei ragazzi che, impossibilitati ad arruolarsi nelle milizie della RSI per motivi anagrafici (i più avevano tra 14 e 16 anni), scelsero un modo tutto loro per contribuire a difendere la loro Firenze e l’idea sotto la quale erano nati e cresciuti. Che abbiano combattuto dalla parte sbagliata? Può darsi… Ma questo non può servire a definire questi baby-martiri dei “terroristi”, come la storia dei vincitori ha fatto fino ad oggi. Ecco perchè, nella speranza di una sempre più auspicabile pacificazione nazionale, è giusto ricordare anche questi martiri delle guerra più sanguinosa della storia. 
I tedeschi avrebbero voluto dichiarare Firenze “città aperta” e questo andava bene anche al primo ministro britannico Winston Churchill che si era detto pronto a fare di tutto pur di “distruggere Firenze il meno possibile”. La bellezza della nostra città infatti non era seconda neppure alla guerra. Ed anche gli uomini ormai assetati solo di sangue che si trovavano a scrivere il destino delle ultime drammatiche ore della guerra più sanguinosa della storia, non potevano restare immuni di fronte a tanta bellezza. 
Chi avrebbe mai perdonato colui che avesse distrutto la cupola del Brunelleschi? O abbattuto il campanile di Giotto? Chi avrebbe mai avuto pace dopo aver distrutto Ponte Vecchio o Piazza della Signoria? Chi si sarebbe mai fatto perdonare una bomba sopra la Galleria degli Uffizi? Eppure Firenze non fu dichiarata “città aperta”. Il C.T.L.N. (Comitato Toscano di Liberazione Nazionale) aveva definito “Firenze città aperta” una “truffa” tedesca per indebolire lo spirito combattivo dei fiorentini. Infatti il 18 giugno 1944, 46 giorni prima dell’arrivo delle truppe alleate, il C.T.L.N. aveva già scelto la soluzione dell’insurrezione armata anti-tedesca perchè, come si poteva leggere in un manifesto del 27 luglio 1944: “l’unico modo per impedire o diminuire le stragi e le violenze è quello di combattere i tedeschi”. Lo stesso manifesto, forse in maniera non molto onorevole, suggeriva che: “nelle scale, nelle stanze, nei vicoli, un tedesco si può accoppare in mille modi”. 
E questa decisione del C.T.L.N., che indubbiamente aveva i propri obiettivi (occupare le sedi istituzionali prima degli inglesi), fece sì che anche Firenze vivesse una propria battaglia culminata nella giornata dell’11 agosto quando si stima, caddero quasi 700 fiorentini, tra civili, partigiani e militari. Una tragedia che forse si sarebbe potuta ampiamente evitare. Ma la storia non la si racconta con i “se” e con i “ma” e questo è quanto accadde. 
Ma Firenze in quei giorni si distinse anche per un “fenomeno” assolutamente anomalo ed originale. Mano a mano che i partigiani e le truppe alleate avanzavano nella conquista di Firenze ed i tedeschi si ritiravano verso nord, emerse una nuova forma di “resistenza” tutta fiorentina con la quale partigiani ed alleati dovettero fare i conti. 
Molti ragazzini, di età compresa tra 14 e 18 anni, nati e cresciuti sotto il regime fascista chiesero, venendo rifiutati logicamente, di poter aderire ai reparti militari della RSI per difendere Mussolini fino alla fine. Non ci dimentichiamo che Firenze era la città di Alessandro Pavolini, giovanissimo Podestà prima e Segretario Nazionale del Partito Fascista Repubblicano, nonchè capo delle Brigate Nere, poi, autentico mito per i giovanissimi formatisi nelle scuole fasciste. 
E questi bambini (perchè quello si era a 14 o 15 anni ad inizio secolo) che non poterono seguire Pavolini e Mussolini a Salò decisero di dare il proprio contributo alla causa alla loro maniera ed imbracciato un fucile (spesso recuperato dal cadavere di qualche soldato o di qualche partigiano trovato nelle campagne attorno a Firenze) si assieparono sui tetti dei palazzi di Firenze in attesa che partigiani ed alleati entrassero in città per poi sparargli addosso con l’obiettivo, tanto folle quanto assurdo, di difendere il capoluogo toscano. Furono i cosiddetti “Franchi Tiratori” ai quali lo storico gruppo musicale degli Amici del Vento, a suo tempo, aveva dedicato l’omonima ballata. 
Su questi ragazzi, simili per certi versi agli adolescenti che difesero Berlino nelle drammatiche ore della caduta del Reich, tanto è stato detto e scritto, ma purtroppo quasi sempre con l’occhio dei vincitori. Si è parlato di loro come di “terroristi” o come di assassini. Si è detto che fossero squadracce organizzate da Pavolini in persona ed addestrate ad uccidere da grande distanza. Si è detto addirittura che alcuni di loro fossero provenienti da reparti in rotta di Waffen-SS. Quanto di questo sia vero e quanto frutto di fantasia non si può stabilire. Una cosa è certa, l’età di questi ragazzi e la loro provenienza: tutti o quasi fiorentini, figli del popolo, di età compresa tra 14 e 18 anni, con qualche picco oltre i 20. Quando venivano catturati nessuno mosse loro un dito a pietà. Nessuno si commosse per la giovanissima età. catturati venivano consegnati nelle mani del C.T.L.N. che, etichettandoli appunto come “terroristi” o come “uomini di Pavolini”, non indugiava a passargli per le armi. 
Furono le giornate del 10 agosto e dell’11 agosto le più sanguinose. Decine e decine di giovanissimi incolonnati per le vie di Firenze (qualcuno ebbe a dire che “parevano gite di scolari forestieri venuti a vedere le bellezze di Firenze…”) venivano condotti dai partigiani nei luoghi dove sarebbero poi andate in scena le esecuzioni. Fucilati. Quattordici o trent’anni in quel momento era uguale. L’umana pietà aveva lasciato ormai posto soltanto all’odio e alla sete di vendetta. 
Non ci sentiamo dalla parte dei 200 fascisti uccisi, come non ci sentiamo dalla parte dei 223 partigiani. Vogliamo sentirci solo dalla parte di quegli 809 fiorentini che, fascisti o comunisti, partigiani o civili, in quel tragico mesi di agosto del 1944 trovarono la morte. E ricordando il sacrificio dei cuori più puri, di chi imbracciò un fucile in buona fede, convinto di fare la scelta giusta in nome di quella patria che aveva imparato ad amare fin da piccolo, non vogliamo accentuare le divisioni, ma richiamare ancora una volta a quella pacificazione nazionale che in Italia ancora oggi pare osteggiata da certe fazioni politiche che al dialogo preferiscono l’odio. Non non siamo tra questi. E ci teniamo ancora una volta a sottolinearlo.

I BOMBARDAMENTI ALLEATI NON HANNO NEMMENO PRESO  
NELLA PIU’ LONTANA  CONSIDERAZIONE
L’ IDEA DI CONSIDERARE FIRENZE UNA PURA E SEMPLICE CITTA’ D’ ARTE. 
NELLA FOTO IL CENTRO DI FIRENZE VISTO DA PONTE VECCHIO

4 AGOSTO 1944- PER IMPEDIRE ALLE TRUPPE ALLEATE L' OCCUPAZIONE 
DI FIRENZE VENGONO FATTI SALTARE I PONTI

19 AGOSTO 1944 - PASSERELLA DI FORTUNA SULL' ARNO


13 AGOSTO 1944 - IL CENTRO DI FIRENZE

12 AGOSTO 1944  - PARTIGIANI RISPONDONO AL FUOCO  DEI FRANCHI TIRATORI
ASSERRAGLIATI UN PO' DOVUNQUE IN CITTA'


14 AGOSTO 1944 - PARTIGIANI RASTRELLANO I QUARTIERI DOVE SONO
ASSERRAGLIATI I FRANCHI TIRATORI


12 AGOSTO 1944 -  DUE MOMENTI DELLA LOTTA 
PER SNIDARE I FRANCHI TIRATORI

SETTEMBRE 1944 - LA CACCIA AI FASCISTI : 
LA MOGLIE E LA FIGLIA DI UN FASCISTA
VENGONO CONDOTTE IN GIRO PER LA CITTA'

SETTEMBRE 1944 - PARTIGIANI CHE TRASCINANO 
UNA DONNA SCALZA ACCUSATA DI APPARTENERE AL FASCIO

VALDARNO (FIRENZE) LUGLIO 1944
UNA DONNA ISCRITTA AL PARTITO FASCISTA VIENE 
COSTRETTA DAI PARTIGIANI A CIRCOLARE NUDA PER LE VIE 


Cartolina Forze Armate Repubblicane Federazione Fasci Repubblicani di Firenze

Il fiorentino Alfredo Magnolfi era un tipico prodotto della sua città, generoso, piccoletto, forte e combattivo, polemico e attaccabrighe. Non fu un caso che divenne un noto pugile professionista tra il 1925 e il 1940, divenendo campione italiano dei pesi gallo in due riprese, tra il 31 e il 35 prima, e tra il 36 e il 37 dopo. Terminò la carriera nel 1940, con 92 incontri disputati, di cui molti in ambito internazionale. Rimase sempre a vivere nella sua città, e lo ritroviamo nei giorni difficile della "liberazione", in quell'agosto del 1944 in cui Firenze vede la difesa dei pochi rimasti in camicia nera contro un esercito alleato numeroso e fortemente armato, supportato dalle bande partigiane. E Alfredo Magnolfi è uno di quei pochi che restano al loro posto, in divisa nera e decisi a vender cara la pelle. L’ex campione dei pesi gallo, Alfredo Magnolfi, viene fucilato nel retro di una casa che si affaccia su via Buonarroti. Indossa qualcosa che assomiglia ad una divisa fascista. E’ legato. In quattro lo fanno sedere su una sedia con alle spalle un muro. Fanno per bendarlo, ma lui rifiuta. Due uomini si allontanano una decina di passi e puntano i mitra, ma si inceppano entrambi. Intanto gli altri due partigiani tengono lontani una piccola folla di curiosi. Di nuovo si ripete l’esecuzione. Il pugile, rimasto come fascista nella Firenze invasa, cade a terra. Dalla folla esce un’ufficiale inglese che con la rivoltella assesta all’italiano il colpo di grazia. Il cadavere viene caricato su un motofurgone e portato via.

E' la Firenze raccontata nel 1947 da Vasco Pratolini in un articolo sul "Politecnico":

<Ma anche quei "franchi tiratori" che si difesero di tetto in tetto erano fiorentini. La Repubblica Sociale Italiana salvò la faccia a Firenze. Una faccia che spuntava coi mitra dai comignoli e dagli abbaini. Soltanto a Firenze ci fu fra patrioti e fascisti vera guerra civile. Fu lì e solo lì vera Spagna. Rossi e neri dietro le barricate, al riparo di una cantonata, la linea del fuoco sugli argini di un torrente, nelle stesse ore dell’Agosto ’44, in cui anche Parigi lottava per la sua liberazione. I partigiani scesero dalle montagne e i fascisti li aspettarono. Non era più nazi-fascismo e Nazioni Unite. Erano fiorentini di due opposte fazioni che si ritrovavano ad uno dei tanti appuntamenti della loro storia. I tedeschi, fatti saltare i ponti, piegavano in ritirata, lasciavano le bande nere a vender cara la pelle. Gli alleati avevano segnato il passo davanti alle rovine dei ponti, affidavano ai volontari della libertà l’onore di cavare le castagne dal fuoco, espugnando la città. Durò otto giorni. E sulla stessa pietra, che ricorda il rogo di fra Savonarola, venne fucilato Pietro Chesi, trionfatore con distacco di una Milano-San Remo, che fa testo negli annali del ciclismo italiano. Dietro l’abside di Santa Croce, ove riposano Machiavelli, Galileo e Foscolo, fu passato per le armi Alfredo Magnolfi, challenger al campionato europeo dei pesi gallo. I partigiani dissero: "Alfredino era una canaglia, ma è morto bene". Morirono bene questi sportivi>

LUGLIO 1944 
PERIODICO DELLA FEDERAZIONE DEI FASCISTI REPUBBLICANI DI FIRENZE
ULTIMO NUMERO DEL SETTIMANALE 
PUBBLICATO DAL SETTEMBRE 1943 AL LUGLIO 1944
SONO RICORDATI I COLLABORATORI DEL GIORNALE CHE DURANTE I DIECI MESI DI USCITA SONO STATI UCCISI DAI PARTIGIANI
Il 29 luglio del ’44, sui muri di Firenze viene affisso l’ultimo numero di “Repubblica”, il giornale della Federazione del PFR. Questo uno stralcio dell’articolo di commiato:
“La nostra posizione di combattenti, perché tali siamo e lo stanno a dimostrare le centinaia di nostri martiri, ci dà il diritto e ci impone il dovere di ripiegare, per non disperdere energie e riservarci per l’ultima battaglia…..
Oltre al nostro saluto, vogliamo rivolgere ai concittadini anche una raccomandazione. Quella di comportarsi con dignità davanti al nemico che invaderà con la sua gente di colore le vie, i giardini, i palazzi e i monumenti della città del giglio
A tutti i fiorentini, di qualunque idea politica, di qualunque ceto ed età, noi chiediamo di mantenere alto il prestigio della stirpe. I cosiddetti nobili non si prostituiscano nei ricevimenti delle autorità di occupazione; la borghesia ed il popolo non si abbassino a mendicare l’aiuto della soldataglia nemica; le nostre donne non cadano in solluchero alla vista dei damerini dell’esercito anglosassone…..
Andandocene abbandoniamo qui le nostre case, qualche nostra famiglia, qualche nostro camerata. E’ un patrimonio di italianità che vogliamo credere sarà rispettato dagli Italiani….”
(in: Gigi Salvagnini, L’ultima guerra civile, Firenze e la RSI, Bagno a Ripoli 2004)

I FRANCHI TIRATORI DI NAPOLI
Otto settembre 1943, armistizio di Cassibile. L’Italia di Badoglio a seguito dell’avanzata alleata si arrende e passa dalla parte dell’invasore. A Napoli avvengono tumulti: bande di popolani assaltano depositi di viveri e la città è nella più completa anarchia. I Tedeschi prendono il controllo della città. Iniziano anche i primi rastrellamenti, molto spesso provocati dai primi partigiani, i quali sfruttano il malcontento di chi si sente sempre più vessato dalle privazioni della guerra per generare un movimento di resistenza, nell’attesa degli alleati che il nove settembre sono sbarcati a Salerno. In questi giorni Domenico Tilena ricostituisce la sede del Fascio a Via Medina, ottenendo l’iscrizione di un centinaio di ragazzi mentre il colonnello Scholl, comandante tedesco della città, rimane allibito giudicandola una follia visto l’imminente arrivo degli alleati. Viene ricostituita anche la Milizia, sotto il comando di Giovanni Cuocolo, con sede nella scuola elementare “Vincenzo Cuoco”. Il ventisette settembre la divisione  tedesca “Herman Goring” rompe il contatto con il nemico e si ritira, lasciando spianata la strada per Napoli. In città si sparge la voce dell’arrivo degli Anglo-Americani e i partigiani, con le forze tedesche ormai in ritirata, escono dai loro rifugi. Iniziano le quattro giornate di Napoli. In questa situazione, tra Tedeschi e partigiani, anche i Fascisti imbracciano i fucili ed iniziano a combattere. Il ventotto e ventinove i Franchi tiratori sono già in azione. Invece la gran massa della popolazione rimane estranea agli scontri per repulsione verso gli eccidi di cui giunge voce e per la paura di rimanere coinvolti negli scontri. I Franchi tiratori combattono strenuamente al Vomero, al museo, a Porta Capuana,Via Salvator Rosa, Piazza Mazzini, per le strade del centro ma anche in periferia. Da una Terrazza della Rinascente, nella centralissima Via Toledo, un ragazzo isolato spara con una mitragliatrice. Accerchiato e con le munizioni ormai finite, per non essere catturato si getta nel vuoto. A via Duomo un capitano della Milizia combatte valorosame e quando gli insorti lo raggiungono si spara. A Piazza Marinelli un Franco tiratore spara e lancia bombe a mano da un terrazzo ma appena catturato viene fucilato senza pietà. Pochissimi riescono a salvarsi, nessuno chiede pietà: non il Tommasone che per tre giorni spara senza sosta da una casa della salute a Via Imbriani, non il Porro, non altri ragazzi uccisi in combattimento o fucilati. Al Tommasone, dopo essere stato catturato, gli viene intimato di rinnegare la sua fede Fascista e di sputare su un’immagine del Duce, ma rifiutatosi con sdegno viene fucilato a Via Salvator Rosa. Il Porro nel Rione Materdei, dopo essere stato catturato, viene linciato da una folla di facinorosi e dopo essere stato gettato su un cumulo di immondizie, i partigiani presenti obbligano il padre e la madre a sputare sul corpo del figlio. Il trenta settembre i Tedeschi hanno quasi completamente abbandonato la città ma i Fascisti resistono ancora, sparpagliati a macchia di leopardo. Tra Via Salvator Rosa e Museo, un commando appostato sui tetti pone molta resistenza al nemico, causandogli ingenti danni. Dal liceo Vittorio Emanuele un gruppo spara su Piazza Dante tenendo sotto scacco i nemici per molto tempo. Un episodio clamoroso accade alla caserma Paisiello a piazza Montecalvario: un gruppo di Fascisti rifugiatosi nella caserma resiste per due giorni e il terzo dopo un’ora di sparatoria riesce a dileguarsi e a non essere catturato. I Franchi tiratori combattono strenuamente anche al Vomero restando spesso uccisi. Invece ad Afragola una compagnia della Milizia, sotto il comando del tenente De Fleury, resite strenuamente. Il reparto al completo infine riesce a disimpegnarsi e, impossessandosi di un autocarro, ripiega a Nord per combattere sotto la bandiera della Repubblica Sociale. A Piazza Mazzini quattro giovanissimi tiratori piantati in mezzo alla piazza, armati solo di moschetto, combattono coraggiosamente contro i partigiani appostati nelle case circostanti, quando una colonna tedesca in ritirata si ferma e invita i quattro a salire. I giovani spavaldamente si rifiutano di ripiegare dicendo di aspettare l’arrivo degli Alleati per opporre un’ultima resistenza. Di loro non si è saputo più nulla. Il primo ottobre gli alleati entrano ed occupano la città. Pochissimi superstiti si danno alla clandestinità per contrastare l’occupazione nemica. Per i Fascisti si trattò di un fenomeno assolutamente spontaneo e perciò disorganico, che può essere interpretato come un gesto di fedeltà verso un ideale e una nazione che vedevano crollare intorno a loro. Come dice Enzo Erra “Non lottavano per vincere e sapevano di non avere un domani.”
Di Chicco - da blocco studentesco-Napoli